Orvieto è una città antica, ricca di segreti e curiosità ed è una delle poche che ha avuto l’onore di dare il suo nome al suo vino, come Barolo e Barbaresco. Insediata su una imponente rupe di tufo, a 325 m sul livello del mare, che domina la valle sottostante creata dall’azione eruttiva dei vulcani Vulsini, si narra che gli Etruschi che la chiamarono Velzna “(che ricorda “vina” ovvero la parola “vigneto” in lingua etrusca) furono i primi a scavare le grotte di tufo all’interno del massiccio tufaceo per svolgere tutte le pratiche di vinificazione sfruttandone umidità relativa e la temperatura costante. La pigiatura delle uve avveniva nell’ambiente più caldo e vicino all’esterno in cui avveniva anche la prima parte della fermentazione, a cui seguiva un secondo ambiente, dove avveniva la seconda parte della fermentazione ed un primo affinamento.
Ad Aristotele è attribuito uno scritto del III secolo a.C. nel quale si parla di Orvieto come Oinarea la città in cui scorre il vino e questo dimostra la fama nel corso della storia della città e del suo vino, talmente apprezzato che pittori come Pinturicchio e Signorelli chiesero un contributo in vino per i lavori svolti all’interno del Duomo di Orvieto. Non a caso sinuosi tralci di vite ornano la bellissima facciata del Duomo, gli affreschi dei palazzi più eleganti ritraggono grappoli, o sculture del dio Bacco su portoni e massicce colonne. Per un periodo Orvieto fu parte dello stato Pontificio e molti papi erano grandi estimatori del vino d’Orvieto tant’è che l’Orvieto venne ribattezzato il “Vino dei Papi”. Il vino orvietano ad Orvieto si produceva dovunque, apprezzamenti vitati si trovavano sulla stessa rupe già nel periodo del libero Comune. Dietro al duomo c’era un ampio vigneto e anche la zona che si estende da piazza Cahen fino ad oltre la chiesa dei Servi di Maria era denominata “vigna Grande”.